Cammino Antichi Percorsi di Sostenibilità
Siamo in quindici, e il nostro viaggio inizia dalla Masseria Asciulo, accanto ai possenti blocchi di pietra che costituivano il basamento della torre messapica del IV secolo a.C. Un tempo, questa era parte di un complesso sistema difensivo, poi trasformato dai Romani in una stazione di posta lungo il Cursus Publicus. Anche i Longobardi, durante la guerra bizantino-longobarda, hanno lasciato qui tracce della loro presenza. Il cielo è leggermente velato, ma intorno a noi esplode la primavera salentina: il verde intenso dei campi si intreccia con il giallo brillante dei fiori selvatici. I mandorli in fiore e i peri vestiti di bianco rendono l’atmosfera gioiosa. Alcuni di noi raccolgono asparagi selvatici lungo i muretti a secco, mentre piccole lucertole sbucano tra le pietre per godersi il sole di marzo.
Nel cuore del cammino, sostiamo presso un trullo che un tempo ospitava un palmento per la lavorazione dell’uva. Per me, questo luogo ha un valore speciale: custodisce un antico camino, largo abbastanza da accogliere chi vi sedeva all'interno, come quello della casa di mia nonna: “Coltivare la memoria è un gesto necessario”. Superata la Masseria Marangiosa, il cui nome ricorda il passaggio dei Longobardi, due pennellate orizzontali dipinte di bianco e celeste ci confermano che siamo sul Cammino di Don Tonino Bello. Il ricordo del vescovo, del suo impegno per la pace e della sua marcia su Sarajevo nel dicembre 1992, ci accompagna. La sua entrata nella città assediata, il rischio dei cecchini, la nebbia salvifica che lo avvolgeva; è proprio vero, "Conoscendo il motivo di un viaggio, si può sapere già molto di una persona"*.
A nord della Masseria Marangiosa lasciamo il tratturo per imboccare l’asfalto, diretti alla Chiesa di San Donato in contrada Coltura. L’edificio, in stato di abbandono, è ciò che resta di un antico casato medievale. All’interno, un affresco raffigura San Donato, protettore contro l’epilessia. Sull’altare, un cerchio celeste dai raggi ramificati richiama una ragnatela, simbolo dei luoghi in cui si portavano le persone tarantate. Questa chiesa, lasciata al degrado, rischia di scomparire e "Se una cosa non si ricorda, non è esistita"*.
Il cammino prosegue e le nuvole si dissolvono. La luce del sole ravviva i colori dei nostri abiti. Giunti alla Neviera Gabriele, uno dei proprietari apre il cancello, chiuso per proteggerlo da atti vandalici. Qui, in passato, la neve veniva compressa e conservata per produrre ghiaccio, stivato in una struttura isolata con paglia. La Neviera custodisce anche le antiche pozzelle, serbatoi d’acqua scavati nella roccia friabile e coperti con pietre calcaree permeabili. Una pozzella posta fuori dalla proprietà offriva ristoro ai viandanti. Questa sosta è l’occasione per riflettere su un’epoca in cui le risorse venivano sfruttate con saggezza: la neve per il ghiaccio, la pietra per costruire case e ripari, ricavare la calce per igiene e edilizia. Se un tempo anche gli analfabeti sapevano utilizzare le risorse con equilibrio, perché oggi, con tutta la nostra istruzione, fatichiamo a fare lo stesso? Forse la risposta sta nelle relazioni di interdipendenza che allora esistevano tra le persone e tra queste e la natura. Recuperare questa consapevolezza è essenziale per garantire alle generazioni future un mondo più sano. "Vedere significa sapere", per questa ragione siamo giunti alla Neviera.
Ci avviamo verso la Masseria Coltura e, con una chiamata, avvisiamo la proprietaria del nostro arrivo. Qui, ad accoglierci, ci sono Raffaella e suo padre Franco, con un’ospitalità calorosa. Il camino è acceso, e la tavola imbandita con bevande e sorrisi. Raffaella ci racconta la storia della Masseria e della piccola scuola elementare voluta dai sindaci di Latiano e San Michele Salentino negli anni ‘50. Franco ci mostra i lavori di restauro che sta curando con le sue mani e alcune delle sue opere artistiche, che parlano del valore della vita e delle radici. La masseria ha la bellezza dell’imperfezione; pare un’anziana signora che, come i camminatori, cerca il cambiamento: "Ciò che non si muove è soggetto alla disintegrazione, alla degenerazione e a ridursi in cenere, mentre ciò che si muove potrebbe durare addirittura per sempre".
L’ultima tappa è la Chiesa di Santa Maria della Selva, vestigia di un
casato del XIV secolo. Il silenzio che l’avvolge è denso di sacralità e pace.
Ci fermiamo un quarto d’ora, sufficienti per lasciarci permeare dalla sua
atmosfera. Poi riprendiamo il cammino per l’ultima meta: la degustazione di oli
presso la Masseria Asciulo. La fatica si fa sentire, ma "il passo lento
ha anche il vantaggio di lasciare il tempo di chiacchierare".
Giuseppe
Caforio, proprietario del frantoio, ci guida nella degustazione di tre varietà
di olio, conducendoci attraverso un viaggio sensoriale che coinvolge olfatto e
gusto. Il fruttato intenso e i gradienti di polifenoli ci parlano della terra e del
lavoro dell’uomo. Ogni sorso e ogni assaggio risvegliano i sensi, chiudendo in
bellezza il nostro cammino.
Tra un bicchiere di vino e un momento di convivialità, l’Associazione Officina Didattica in Natura ringrazia Giuseppe per l’ospitalità. E, come sempre, la Masseria Asciulo si dimostra luogo di successo e di bel tempo. Infine, un ringraziamento si deve a coloro che hanno reso possibile questo cammino, perché, in fondo, “Noi siamo chi ci viene incontro”.
*Le citazioni sono tratte dal libro I Vagabondi di Olga Tokarczuk
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